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giovedì 9 aprile 2009

FRA GLI SFOLLATI NEGLI HOTEL DI MONTESILVANO. UNA STANZA D'ALBERGO E FINGERE NORMALITA'

da "Liberazione" di mercoledì 8 aprile 2009

di Lorenzo Dolce

Montesilvano (Pescara) - Nella hall c'è un caos stranamente ordinato. Le persone, con una compostezza ed un silenzio insolito per noi italiani, attendono in fila di potersi registrare. I volti sono stanchi, segnati dalla notte insonne e dalla paura. Sono gli sfollati dell'Aquila che arrivano in uno degli alberghi messi a disposizione dei terremotati a Montesilvano, cittadina confinante con Pescara. Sono tutti hotel di lusso, con piscine, sale benessere e spiagge private. A loro, però, questo importa poco. Vogliono un posto dove dormire, per non passare le notti in tenda. E vogliono ricominciare.


Sono circa 600 le persone che dalla scorsa notte si stanno riversando in tutti gli hotel della costa pescarese, più di 400 nel complesso dei grandi alberghi di Montesilvano. Man mano che arrivano nella hall, le persone vengono accolte da due carabinieri che si occupano dell'identificazione, della registrazione e di una sorta di censimento. Sono gentili con gli sfollati i militari, ascoltano le loro richieste e cercano di metterli a proprio agio. Uno dei due mi dice di essere rimasto colpito dalla grande paura che si è impossessata di queste persone e mi spiega tutto con un esempio. «Dietro l'albergo c'è la linea ferroviaria, ieri - racconta -, quando è passato il treno, un gruppo di persone, sentendo il rumore, ha immediatamente pensato al terremoto ed è fuggito per strada».

Gli sfollati passano poi alla reception vera e propria dove i dipendenti gli illustrano la struttura e gli consegnano la chiave della stanza. Prima di arrivare nelle camere si passa davanti alla postazione della Croce Rossa. E' qui che i terremotati con esigenze particolari possono fare richiesta. I volontari provvedono, inoltre, a procurare vestiti, medicinali e tutto ciò che può servire, cercando di dare attenzione a chiunque.

Ad aver lasciato la propria città per andare in albergo sono soprattutto famiglie con bambini, ma ci sono anche ragazzi ed anziani. La prima persona che incontro è una donna, madre di due bambine piccole. Mi racconta che la notte del sisma era a letto con le figlie. «Se siamo vive - dice - è perché la casa ha retto e siamo riuscite a fuggire». Scoppia in lacrime quando parla della straordinaria accoglienza che viene riservata a tutti loro, e le figlie, vedendola, la abbracciano. Dice che loro son piccole per potersi rendere conto di quello che gli sta capitando. «Prima ci preoccupavamo dei soldi, del mutuo - mi dice con un cinico sorriso - ora invece i problemi sono altri. La cosa buffa è che non sappiamo cosa aspettarci per il futuro: non c'è più casa, non c'è più lavoro e non sappiamo cosa faremo nei prossimi giorni».

Avvicinandomi al ristorante dell'hotel - dove i terremotati iniziano a mangiare e dove dopo pranzo ci sarà la consegna degli indumenti - incontro una donna con due figli. Dice di aver dormito in macchina la prima notte, sperando di poter tornare nella sua casa-ufficio per recuperare qualcosa. Lì c'è il computer con il lavoro di una vita, ma l'edificio è inagibile e i Vigili del fuoco non le hanno permesso di rientrare. E' venuta a Montesilvano sperando di trovare un po' di normalità e di tranquillità per i suoi figli, tanto all'Aquila - dice - ora c'è poco da fare.

Mentre sto andando via entra una donna anziana. Non sembra una sfollata, è ben vestita e all'apparenza sembra serena, ma parlando ai due carabinieri spiega che quegli abiti sono tutto ciò che le rimane. Con gentilezza dice agli agenti di avere dei parenti a Pescara, ma di non voler essere ospitata per non disturbare e non creare problemi. Finita l'identificazione va a sedersi. Quando le vado vicino, mi sorride e, nonostante i continui dolori alla schiena, dovuti ad una caduta durante la fuga, mi fa posto accanto a lei. Quel gesto, i suoi sorrisi e la tranquillità sono disarmanti. Mi racconta che la sua casa è crollata, e anche quella delle due figlie. «L'importante - sorride - è che stiamo tutti bene, anche se abbiamo perso tutto».

Tante storie diverse si intrecciano. Persone prima sconosciute, ora vicine perché unite da un dramma comune. E così capisci che il dramma è reale, non uno spettacolo visto in tv o una storia letta sui giornali. Lo capisci da un'anziana signora che, dopo uno scambio di sorrisi, ti fissa per un minuto e poi scoppia in lacrime, continuando a fissarti. Capisci che il dramma è di tutti. Perché anche se le cose capitano agli altri, gli altri non sono poi così diversi da noi.

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