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martedì 31 marzo 2009

'FORTAPASC', LEZIONE DI GIORNALISMO. E DI VITA

di Lorenzo Dolce

Esistono due tipi di giornalisti: i “giornalisti impiegati” e i “giornalisti giornalisti”. Lui aveva deciso di appartenere alla seconda categoria e per questo è stato ucciso. E’ la storia di Giancarlo Siani - unico giornalista assassinato dalla camorra - morto a 26 anni per aver pubblicato particolari che ai boss della malavita non piacevano. La sua storia viene raccontata nel film “Fortapàsc” di Marco Risi.

Torre Annunziata (Napoli), 1985. Fortapàsc, titolo volutamente storpiato che evoca il Forte Apache della tradizione Western rendendo il senso dell’assedio del comune ai piedi del Vesuvio da parte della malavita. Giancarlo Siani è un precario, un “abusivo”, come lui stesso amava definirsi, nella locale redazione de “Il Mattino” di Napoli.

Il film racconta gli ultimi 4 mesi di vita di Siani. Dal giugno 1985, quando il giovane giornalista andava tutti giorni da Napoli a Torre Annunziata, al 23 settembre 1985, giorno in cui viene brutalmente assassinato sotto casa, nel quartiere Vomero del capoluogo campano.

Coinvolgente, genuino ed avvincente, il film mostra, con estrema semplicità, i chiari giochi del potere corrotto attraverso gli occhi del giovane cronista che, con passione, racconta i particolari più torbidi di quella realtà. E non contento delle verità ufficiali, delle dichiarazioni dei politici, anch’essi complici della malavita, scava a fondo, indaga, facendo ciò che la giustizia non è in grado di fare.

Il ritmo è intenso, vivo, ci proietta nella scena ed induce alla riflessione. La colonna sonora fa da sottofondo, ammorbidendo, pur senza forzature, la drammaticità degli avvenimenti e delle morti ingiuste. Emblematico il passaggio in cui si alternano momenti di un consiglio comunale, in cui maggioranza e opposizione altro non fanno che scaricarsi reciprocamente le colpe di ciò che non è stato fatto, e di un incontro tra i boss della camorra, che decidono come spartirsi il territorio. Ciò che viene fuori è che la malavita sa essere più pragmatica, più concreta della politica reale, mentre i cittadini sono le vittime del meccanismo perverso.

Giancarlo Siani, interpretato ad arte da Libero De Rienzo, è presentato con rispetto, per quello che era: un ragazzo normale, con i suoi difetti e i suoi pregi, un giovane con dei valori che esercitava con onestà la sua professione. Un mestiere, quello dei giornalisti, a cui inevitabilmente, con questo film, ci si affeziona, riflettendo anche sul ruolo dei precari dell’informazione – in Italia attualmente sono diverse decine di migliaia – che molto spesso, per pochi euro, sono anche disposti a rischiare la vita.

Pur sapendo fin dall’inizio come andrà a finire la vicenda, quando si vede Siani accasciarsi, con dieci proiettili in corpo e la camicia che si macchia di sangue, resta poco da dire. Nulla di sensazionalistico: non una musica commovente di sottofondo, né il pianto o le urla di chi gli voleva bene. Il film si chiude con quell’immagine drammatica, perché in quel modo è finita la storia di Giancarlo.

Fortapàsc così diviene un simbolo. Non è un paese di 40.000 abitanti, non è Torre Annunziata, non è Napoli. E’ nella nostra testa. Siamo noi.